La pittura di Viviani è tutta un ricco pomario, un solo e incorruttibile frutteto, di cui egli è l'attento custode, il prodigioso, guardiniere, capace d'inventare di volta in volta nuovi itinerari, gradevoli o magici labirinti naturali, un regno intatto, e tuttavia, al tempo stesso, un luogo inquietante, impossibile, di rara perfezione e di astratta bellezza. E' quindi attraverso questa visione è questa medesima simbologia, che egli ha voluto affrontare il tema leonardesco della 'cena', forzandone il senso di una accezione contemporanea, peraltro criticamente non sfornita, appunto di giustificazioni.
Ad aiutarlo in simile impresa, egli ha invocato ogni risorsa della sua maestria tecnica, ogni dote della sua più acuta perizia. Procedimenti inediti, metodi da esperto alchimista della materia pittorica, raffinate strategie grafiche: sarebbe davvero difficile raccontare che cosa c'è dietro alle sue immagini così nitide, lucide, impeccabili. Si può dire soltanto che ogni dato delle sue qualità esecutive corrisponde esattamente alla natura intellettuale e fantastica dei temi e dei motivi che lo assillano e pungono, come appare con estrema evidenza anche nel caso di questo Convito di pietra.
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